Per decenni, la biodiversità agricola è stata considerata un bene comune — prezioso, ma invisibile nei bilanci economici.
Oggi le cose stanno cambiando: con la crescente attenzione internazionale verso la crisi ecologica e la perdita di specie, la tutela della biodiversità entra finalmente nel linguaggio delle politiche e dei mercati.
Dopo i crediti di carbonio, arrivano i crediti di biodiversità, un nuovo strumento che potrebbe rivoluzionare il modo in cui agricoltura, ambiente e finanza si parlano.
E anche nei campi di grano, questa trasformazione è già iniziata.
Da costo ambientale a valore ecologico
La biodiversità — varietà di specie, habitat e geni — è ciò che rende possibile la produttività agricola nel lungo periodo: garantisce l’impollinazione, regola i cicli dei nutrienti, mantiene la fertilità e il controllo biologico dei parassiti.
Eppure, secondo l’IPBES (2023), oltre il 75% della superficie terrestre modificata dall’uomo mostra segni di degrado ecologico.
In Europa, l’agricoltura intensiva e la semplificazione colturale sono tra le cause principali della perdita di habitat.
I biodiversity credits nascono per cambiare questa prospettiva: invece di trattare la tutela della natura come un costo, la trasformano in valore economico scambiabile.
Ogni credito rappresenta un miglioramento misurabile nella qualità ecologica di un’area, certificato da standard internazionali.
Come funzionano i biodiversity credits
Il principio è simile a quello dei carbon credits, ma con una differenza sostanziale: mentre il carbonio si misura in tonnellate di CO₂, la biodiversità si valuta attraverso indicatori ecologici compositi.
I principali parametri includono:
- ricchezza di specie (numero e abbondanza relative);
- qualità e connettività dell’habitat;
- presenza di impollinatori e specie bioindicatrici;
- integrità del suolo e copertura vegetale.
Ogni miglioramento verificato rispetto a una linea di base (baseline) può generare un credito di biodiversità.
Questi crediti possono poi essere acquistati da aziende, enti pubblici o fondi di compensazione ambientale per bilanciare gli impatti su habitat naturali o per raggiungere obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance).
Il Protocollo EU Nature Restoration Law (2024) prevede la creazione di schemi volontari di certificazione, gestiti da enti indipendenti, con standard basati su metriche comuni e verificabili.
Il grano come habitat agricolo
Può sembrare paradossale, ma anche un campo di grano può ospitare biodiversità — se gestito in modo integrato e non intensivo.
La ricerca CREA (2024) mostra che i sistemi cerealicoli con rotazioni lunghe, siepi perimetrali e inerbimenti spontanei ospitano fino al 60% di impollinatori in più rispetto ai campi monocolturali.
Le fasce ecologiche tra i campi, l’uso di fitofarmaci a basso impatto, e la presenza di fioriture spontanee o coltivate (es. trifoglio, senape, facelia) aumentano la diversità e forniscono servizi ecosistemici fondamentali.
In questi contesti, la biodiversità diventa un indicatore di salute del suolo e stabilità climatica, ma anche una nuova fonte di reddito grazie alla possibilità di ottenere crediti verificati.
Dalle politiche europee ai mercati locali
La Strategia europea per la biodiversità 2030 e la Nature Restoration Law fissano obiettivi vincolanti per il ripristino di almeno il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030.
Tra le priorità rientrano anche gli agroecosistemi — e quindi le aree cerealicole — dove si punta a:
- aumentare del 10% la copertura di elementi naturali (siepi, alberature, prati permanenti);
- incentivare pratiche agricole a basso impatto (rotazioni, agricoltura conservativa, biologico);
- integrare la biodiversità nelle filiere produttive certificate.
In parallelo, stanno nascendo mercati volontari di crediti di biodiversità, già operativi in Francia, Regno Unito e Australia, e in fase di studio anche in Italia.
Progetti pilota come LIFE BIA-NET e BIOVALUE (Horizon Europe) stanno sperimentando metriche per valutare il “valore biodiversità” delle aziende agricole, includendo anche i campi di grano.
Filiere cerealicole e biodiversità certificata
Nelle filiere del grano, l’integrazione della biodiversità può avvenire in diversi modi:
- certificazioni ambientali (es. Biodiversity Alliance, Regenerative Organic);
- accordi di filiera che premiano i produttori che mantengono habitat o siepi naturali;
- etichette “nature-positive”, che comunicano il contributo dell’azienda alla fauna e agli ecosistemi locali.
In Italia, alcune cooperative e pastifici stanno già collaborando con enti scientifici per misurare e monetizzare i benefici ecologici dei propri campi di grano duro.
L’obiettivo è creare una filiera del grano sostenibile e biodiversa, in cui la tutela degli ecosistemi diventa parte del valore commerciale del prodotto finale.
Dati, trasparenza e fiducia
Come per il carbonio, anche per la biodiversità la sfida principale è la trasparenza scientifica.
La misurazione della biodiversità è complessa e multidimensionale: servono protocolli solidi, monitoraggi a lungo termine e piattaforme digitali condivise.
La FAO (2024) propone un approccio basato su indicatori funzionali, cioè sulla capacità del suolo e del paesaggio di fornire servizi ecologici concreti — non solo sul conteggio delle specie.
In futuro, i biodiversity credits potranno essere tracciati tramite blockchain e collegati ai sistemi PAC, creando una nuova economia rurale della natura.
Un valore che torna alla terra
La biodiversità non è un lusso, ma l’infrastruttura ecologica dell’agricoltura.
Riconoscerne il valore economico non significa mercificare la natura, ma restituirle un posto nel sistema delle decisioni.
Se regolati con rigore e trasparenza, i biodiversity credits possono diventare una leva concreta per la rigenerazione agricola:
premiano chi custodisce habitat, favoriscono pratiche virtuose e rendono visibile ciò che finora era invisibile.
Nel grano, ogni siepe, ogni fiore spontaneo, ogni rotazione è un investimento nel futuro della terra.
E la biodiversità, da valore silenzioso, diventa finalmente moneta viva del paesaggio rurale.
Fonti:
- European Commission (2024). EU Nature Restoration Law and Biodiversity Strategy 2030.
- FAO (2024). Valuing Agricultural Biodiversity for Ecosystem Services.
- Joint Research Centre (2024). Metrics and Monitoring for Biodiversity Credits in Agricultural Systems.
- CREA – Agricoltura e Ambiente (2024). Gestione ecologica dei sistemi cerealicoli italiani.
- Horizon Europe (2025). BIOVALUE and LIFE BIA-NET Projects – Interim Reports.
- IPBES (2023). Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services.

