Grano e salute del pianeta: impronta ecologica e soluzioni

Mangiare pane, pasta o biscotti è un gesto quotidiano. Ma dietro ogni chicco di grano si nasconde una lunga catena di processi che lasciano un’impronta sull’ambiente: dall’acqua usata per irrigare ai fertilizzanti, dal carburante dei trattori fino al trasporto e alla trasformazione.
Capire quanto “pesa” ecologicamente il grano non significa colpevolizzare chi lo coltiva o consuma, ma comprendere come renderlo più sostenibile.

Cos’è l’impronta ecologica del grano

L’impronta ecologica è un indicatore che misura l’impatto ambientale complessivo di un prodotto o di una coltura.
Nel caso del grano, viene valutata attraverso l’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, o LCA), che considera tutte le fasi:

  • la coltivazione (uso del suolo, acqua, fertilizzanti, pesticidi, energia);
  • la trasformazione (molitura, pastificazione, panificazione);
  • la distribuzione e il consumo.

Secondo la FAO, produrre 1 kg di grano tenero comporta in media 0,7–1,0 kg di CO₂ equivalente, mentre per il grano duro le emissioni sono leggermente più alte, circa 1,1–1,3 kg di CO₂ eq., a causa delle zone più aride in cui è coltivato e del maggiore fabbisogno idrico.

Acqua, suolo, aria: le tre dimensioni dell’impatto

Acqua

Produrre un chilo di grano richiede in media 1.800 litri d’acqua (Water Footprint Network, 2023).
Tuttavia, solo una parte di quest’acqua è “blu” (di irrigazione): gran parte proviene dalle piogge (green water).
Ridurre lo spreco idrico significa ottimizzare le irrigazioni e usare sistemi di monitoraggio del suolo e del clima che aiutano a capire quando e quanto irrigare.

Suolo

Le colture cerealicole, se gestite in modo intensivo, possono causare erosione e perdita di carbonio organico, come già visto in precedenti articoli.
Ogni tonnellata di suolo perso impiega decenni per rigenerarsi.
Pratiche come la rotazione colturale e la minima lavorazione riducono il disturbo meccanico e migliorano la capacità del terreno di trattenere nutrienti e acqua.

Aria

Le emissioni derivano in gran parte dai fertilizzanti azotati: durante la loro degradazione nel suolo, si libera un potente gas serra, il protossido di azoto (N₂O), con un effetto climatico 265 volte superiore alla CO₂.
Tecniche come la fertilizzazione di precisione, l’uso di biostimolanti naturali e il recupero dei residui organici possono ridurre queste emissioni fino al 30–40%, secondo il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea.

Il paradosso del grano: alimento essenziale, ma vulnerabile

Il grano nutre oltre 3,5 miliardi di persone e copre quasi il 20% del fabbisogno calorico globale.
Eppure, è tra le colture più esposte agli effetti della crisi climatica: ondate di calore, siccità e nuove malattie riducono la produttività e spingono i produttori verso una spirale di input sempre più costosi.
Questo crea un circolo vizioso: per produrre di più, si aumenta l’impatto; ma aumentando l’impatto, si indebolisce il suolo e si peggiora la resilienza futura.

La sfida è rompere questo schema, rendendo il grano parte della soluzione climatica, non del problema.

Soluzioni: verso un grano a “bilancio zero”

Le strategie per ridurre l’impronta ecologica del grano non sono futuristiche — molte sono già in atto in Europa e in Italia.
Ecco le principali:

  1. Agricoltura di precisione
    → Usa sensori, satelliti e algoritmi per gestire fertilizzanti e acqua in modo mirato.
    Risultato: meno sprechi, meno emissioni, rese più stabili.
  2. Rotazioni e agricoltura conservativa
    → Alternare il grano con leguminose o piante da copertura aumenta la fertilità e riduce la necessità di input chimici.
  3. Uso di varietà resilienti
    → Il miglioramento genetico e le varietà locali (landraces) offrono un patrimonio di adattamento a caldo, siccità e malattie.
  4. Economia circolare
    → Gli scarti della trasformazione (crusca, paglia) diventano risorse: compost, biomateriali o bioenergia.
  5. Certificazioni ambientali e carbon farming
    → Schemi volontari che premiano chi dimostra di ridurre le emissioni o aumentare il sequestro di carbonio nel suolo.

In Italia, progetti come LIFE HelpSoil, Agroecology Hub CREA e le Reti Rurali Nazionali mostrano che è possibile abbattere fino al 25% dell’impronta ambientale del grano, mantenendo redditività e qualità.

Misurare per migliorare

La sostenibilità non si dichiara: si misura.
Per questo EcoWheataly lavora su indicatori ambientali legati all’uso di suolo, acqua, fertilizzanti e rese agricole.
L’obiettivo è fornire una base scientifica solida per politiche e pratiche agricole che migliorino la salute del pianeta senza penalizzare gli agricoltori.

Ogni ettaro di grano racconta una storia: di equilibrio, di energia, di scelte.
Trasformarlo in un modello di sostenibilità globale è la sfida — e la speranza — del nostro tempo.

Fonti:

  • FAO (2024). The State of Food and Agriculture: Climate and Sustainability Nexus.
  • Water Footprint Network (2023). Water Footprint of Crops and Derived Products.
  • IPCC (2021). Climate Change and Land: Global Warming and Agriculture.
  • JRC – Joint Research Centre, European Commission (2024). Nitrogen Management and GHG Emissions in Cereal Systems.
  • CREA (2023). Bilancio ambientale delle produzioni cerealicole italiane.
  • LIFE HelpSoil Project (2022). Conservation Agriculture for Soil and Climate Protection.