Wheat Resilience Index: come misurare la vulnerabilità dei sistemi cerealicoli

In un mondo segnato da crisi climatiche, geopolitiche ed energetiche, la parola chiave è resilienza.
Per il grano, che sfama oltre 3 miliardi di persone, la capacità di resistere agli shock non è più solo un concetto agronomico: è una condizione di sicurezza globale.
Ma come si misura la resilienza di un sistema cerealicolo?

Dalla resa al sistema: un nuovo approccio

Per anni, la produttività è stata l’unico parametro per valutare la salute del settore agricolo.
Oggi, però, la resa media non basta più.
Un sistema agricolo è resiliente quando può assorbire gli shock (siccità, conflitti, crisi di mercato), adattarsi e continuare a garantire produzione, reddito e sicurezza alimentare.

Per questo motivo, istituzioni come la FAO, il Joint Research Centre (JRC) e l’IPCC hanno iniziato a sviluppare indici compositi per misurare la vulnerabilità delle colture su scala globale.
Nasce così il concetto di Wheat Resilience Index (WRI): un indicatore che sintetizza dati climatici, ambientali, economici e sociali per valutare la stabilità dei sistemi cerealicoli nel tempo.

Come funziona l’indice

Il WRI combina quattro dimensioni principali:

  1. Climatica: analizza la variabilità delle piogge, le ondate di calore e l’aumento delle temperature medie.
    Fonti: dati FAO-CLIM e EDORA (European Drought Observatory for Resilience Assessment).
  2. Ambientale: valuta l’erosione del suolo, la disponibilità idrica e l’impronta ecologica dei fertilizzanti.
  3. Economica: misura la dipendenza da input esterni, la diversificazione delle entrate agricole e la volatilità dei prezzi.
  4. Sociale e istituzionale: considera il livello di formazione degli agricoltori, la presenza di cooperative e le politiche pubbliche di supporto.

Ogni area riceve un punteggio da 0 a 1 (da “molto vulnerabile” a “molto resiliente”).
Il risultato finale offre una mappa comparativa della resilienza cerealicola per regioni e Paesi.

Cosa ci dicono i dati

L’analisi 2024–2025 condotta da FAO, JRC e ISMEA mostra risultati diseguali:

  • Europa occidentale e Nord America: resilienza medio-alta (0,7–0,8), grazie a infrastrutture, ricerca e accesso a tecnologie digitali.
  • Nord Africa e Medio Oriente: vulnerabilità elevata (0,3–0,5) per scarsità idrica e dipendenza da importazioni.
  • Asia meridionale: resilienza variabile (0,4–0,7), con forti differenze tra regioni irrigue e seccagne.
  • Italia: indice medio 0,68 — buono ma a rischio siccità, in particolare nelle aree cerealicole meridionali.

Secondo EDORA (2025), la combinazione di temperature più alte e riduzione delle precipitazioni potrebbe ridurre la resilienza del Mediterraneo del 15% entro il 2040.

Perché serve un indice

Avere un indicatore univoco consente di:

  • confrontare i sistemi produttivi nel tempo e tra Paesi;
  • indirizzare le politiche pubbliche verso aree e pratiche più vulnerabili;
  • premiare gli agricoltori resilienti, integrando il WRI nei criteri di accesso agli ecoschemi PAC o ai crediti di carbonio agricoli.

In prospettiva, il WRI potrebbe diventare uno strumento strategico per il Green Deal europeo, aiutando a orientare i fondi verso sistemi agricoli più adattivi e meno impattanti.

Resilienza come obiettivo culturale

La resilienza non è solo una formula o una tabella di valori.
È un modo di pensare l’agricoltura: diversificare, cooperare, anticipare i rischi.
Come scrive l’IPCC (2023), “la resilienza è la nuova produttività”.
Nel futuro del grano, misurarla significa imparare a costruirla.

Fonti scientifiche e istituzionali

  • FAO (2025). Global Wheat Resilience Assessment Report.
  • JRC (2025). Agricultural Vulnerability and Resilience Framework.
  • IPCC (2023). AR6 – Food Systems and Climate Adaptation.
  • EDORA (2025). Drought and Wheat Resilience Metrics.
  • ISMEA (2025). Resilienza agroalimentare in Italia.