Un euro per una pagnotta può sembrare un prezzo equo.
Ma dietro quel costo si nasconde una catena lunga e complessa: campi, trasporti, energia, lavorazione, commercio.
Il pane è uno degli alimenti più simbolici dell’umanità — ma anche uno dei più sottovalutati quando si parla di sostenibilità ed etica economica.
Quanto costa davvero una pagnotta
Il prezzo finale del pane raramente riflette il suo costo reale.
Solo una piccola parte — circa 8–12 centesimi su ogni euro — arriva all’agricoltore che ha coltivato il grano.
Il resto copre trasformazione, logistica, distribuzione e tasse.
Uno studio CREA (2025) stima che il costo energetico e ambientale per produrre un chilo di pane industriale sia in media 1,3 kg di CO₂ equivalente, considerando fertilizzanti, trasporto e cottura.
Se si aggiungono i costi sociali — come la perdita di fertilità del suolo, l’inquinamento o le condizioni di lavoro precarie — il prezzo “giusto” del pane dovrebbe essere più alto del 30–40% rispetto a quello reale.
Il valore invisibile del lavoro e del suolo
Ogni pagnotta racchiude ore di lavoro agricolo e una risorsa preziosa: il suolo fertile.
Negli ultimi 50 anni, il mondo ha perso oltre un terzo dei suoi terreni coltivabili a causa di erosione, salinizzazione e urbanizzazione (FAO, 2024).
Eppure, questo capitale naturale non viene mai conteggiato nel prezzo del cibo.
In molte aree cerealicole del Sud globale, la produzione di grano avviene ancora in condizioni di bassa remunerazione e alta vulnerabilità climatica.
La FAO stima che oltre 20 milioni di piccoli agricoltori dipendano dal grano come principale fonte di reddito, ma ricevano meno del 10% del valore finale della filiera.
Il pane “sostenibile” esiste davvero?
Negli ultimi anni, il mercato ha visto crescere il numero di pani etichettati come bio, km 0 o carbon neutral.
Ma non tutte le certificazioni garantiscono trasparenza: spesso si tratta di greenwashing.
La sostenibilità reale si misura con parametri oggettivi:
- provenienza del grano (filiera corta o estera);
- tipo di coltivazione (convenzionale o biologica);
- energia usata per la molitura e la panificazione;
- impatto sociale (condizioni di lavoro e salari).
Un pane ottenuto da grano locale, macinato a pietra e cotto con energia rinnovabile può ridurre l’impronta di carbonio fino al 60% rispetto a un pane industriale importato (ISPRA, 2024).
Il ruolo delle politiche pubbliche
La Politica Agricola Comune (PAC) e la Strategia Farm to Fork puntano a ridurre le disuguaglianze della filiera, promuovendo contratti più equi e incentivi per la trasformazione locale del grano.
L’obiettivo è rafforzare la sovranità alimentare europea, evitando che il prezzo del pane sia determinato unicamente dalle dinamiche del mercato globale.
In Italia, alcune Regioni (come Toscana e Emilia-Romagna) hanno introdotto marchi territoriali del pane legati alla tracciabilità delle farine e alla remunerazione equa degli agricoltori.
Verso un prezzo giusto
Rendere il prezzo del pane “etico” non significa farlo aumentare arbitrariamente, ma internalizzare i costi nascosti — ambientali, sociali, climatici.
In futuro, il vero pane sostenibile sarà quello che:
- paga il giusto agli agricoltori;
- tutela il suolo e l’acqua;
- riduce le emissioni lungo la filiera;
- educa i consumatori a riconoscere il valore di ciò che mangiano.
Come ricordava Gandhi, “ci sono persone al mondo così affamate che Dio può apparire loro solo sotto forma di pane”.
Oggi quel pane può e deve essere buono per chi lo mangia e per chi lo produce.
Fonti scientifiche e istituzionali
- FAO (2024). The Real Cost of Food: Environmental and Social Accounting.
- CREA (2025). Analisi dei costi ambientali nella filiera del pane in Italia.
- ISPRA (2024). Emissioni e impronta di carbonio dei prodotti da forno.
- UNEP (2024). Food Systems and True Cost Accounting.
- European Commission (2023). Farm to Fork Strategy Progress Report.

