Negli ultimi anni la parola “sostenibilità” è diventata onnipresente.
Dalle etichette dei prodotti alimentari ai siti delle aziende agricole, tutto sembra ormai “green”, “naturale”, “a basso impatto”.
Ma dietro questa corsa alla sostenibilità si nasconde talvolta una verità più complessa: non tutte le pratiche dichiarate sostenibili lo sono davvero.
È il fenomeno del greenwashing, cioè la comunicazione ingannevole o superficiale di azioni che si presentano come ecologiche, ma che non producono benefici ambientali reali.
E anche l’agricoltura — incluso il settore del grano — non ne è immune.
Cos’è davvero il greenwashing
Il termine greenwashing nasce negli anni ’80, quando le prime aziende iniziarono a promuovere iniziative “verdi” pur continuando a operare con modelli altamente inquinanti.
Oggi il fenomeno si è raffinato: non si tratta più solo di falsità, ma di ambiguità, dati selettivi e strategie di marketing ambientale difficili da verificare.
In agricoltura, può assumere diverse forme:
- l’uso di claim generici come “eco”, “naturale”, “a impatto zero” senza basi scientifiche;
- la partecipazione a programmi “green” solo per ottenere fondi PAC, senza cambiamenti reali;
- la comunicazione selettiva dei risultati, ignorando impatti indiretti (come l’uso di energia o di acqua).
Secondo un rapporto JRC (2024), circa il 25% delle dichiarazioni ambientali nel settore agroalimentare europeo risulta “vago, non verificabile o fuorviante”.
Greenwashing e PAC: un rischio sistemico
Con l’arrivo del Green Deal e della nuova Politica Agricola Comune (PAC), la sostenibilità è diventata un requisito per accedere a gran parte dei finanziamenti pubblici.
Questo ha generato un incentivo positivo — ma anche un rischio.
Molte aziende, infatti, si limitano a soddisfare formalmente gli obblighi ambientali, ad esempio adottando rotazioni o pratiche conservative solo su piccole porzioni di terreno o per brevi periodi, senza modificare realmente il modello produttivo.
In alcuni casi, la frammentazione dei controlli o la mancanza di indicatori chiari permette che progetti “verdi” ottengano premi economici senza un reale beneficio ecologico.
Il CREA (2024) evidenzia come la mancanza di un sistema di monitoraggio unificato renda difficile misurare la reale efficacia degli ecoschemi PAC sul campo, soprattutto per colture estensive come il grano.
Etichette e comunicazione: tra trasparenza e confusione
Anche nel mercato dei prodotti a base di grano — pasta, pane, farine — la sostenibilità è diventata un potente strumento di marketing.
Marchi e certificazioni come “biologico”, “a filiera corta”, “carbon neutral” o “senza pesticidi” attirano consumatori attenti, ma non sempre raccontano tutta la storia.
Molti claim “verdi” non sono regolati da standard comuni, e ciò genera confusione.
La Commissione Europea ha annunciato nel 2024 il Green Claims Directive, un regolamento che imporrà alle aziende di fornire prove verificabili e metodologie trasparenti per tutte le dichiarazioni ambientali.
Questo passo è cruciale anche per l’agricoltura: perché un’etichetta “sostenibile” senza basi scientifiche rischia di danneggiare proprio chi lavora davvero per ridurre l’impatto ambientale.
Come riconoscere la sostenibilità autentica
Un’agricoltura sostenibile autentica si distingue per tre caratteristiche fondamentali:
- Misurabilità – ogni pratica deve essere accompagnata da dati verificabili (emissioni, suolo, acqua, biodiversità).
- Trasparenza – i risultati devono essere accessibili, chiari e basati su standard riconosciuti (es. LCA, ISO 14040).
- Permanenza – le pratiche devono produrre benefici duraturi, non temporanei o legati solo ai finanziamenti pubblici.
Per esempio, un’azienda che documenta con sensori satellitari la riduzione dell’irrigazione del 20% o che pubblica bilanci di sostenibilità verificati da enti terzi sta davvero facendo la differenza.
Greenwashing o transizione? Il confine sottile
Non tutte le iniziative imperfette sono greenwashing.
Molti agricoltori si trovano in una fase di transizione ecologica, dove sperimentano pratiche nuove e ancora in evoluzione.
È importante distinguere tra chi comunica in modo scorretto e chi sta imparando a migliorare.
Come scrive la FAO (2024), “la sostenibilità non è uno stato, ma un percorso”.
Ciò che conta è la tracciabilità dei progressi, non la perfezione immediata.
Nel grano, questo percorso si traduce in un cambiamento di mentalità: il valore ambientale non è un requisito di facciata, ma una nuova forma di competitività reale.
Verso una sostenibilità verificata
Il futuro dell’agricoltura europea sarà sempre più data-driven, cioè basato su dati.
Dal 2025, la PAC prevede strumenti digitali per il monitoraggio satellitare delle pratiche sostenibili, e il Green Data Space dell’UE raccoglierà indicatori ambientali condivisi.
Questo permetterà di premiare chi è davvero sostenibile, riducendo le zone grigie dove il greenwashing può prosperare.
Per i produttori di grano, la trasparenza diventerà un vantaggio competitivo, non un obbligo.
In definitiva, la sostenibilità non si racconta: si misura, si dimostra, si costruisce giorno dopo giorno nei campi.
Fonti:
- European Commission (2024). Green Claims Directive – Proposal for Reliable Environmental Communication.
- CREA – Politiche e Bioeconomia (2024). Indicatori di efficacia ambientale nella PAC 2023–2027.
- JRC – Joint Research Centre (2024). Greenwashing Risks in EU Agri-Food Sustainability Reporting.
- FAO (2024). Sustainability in Transition: Measuring Real Progress in Agriculture.
- European Parliament (2023). Greenwashing in the Agri-Food Sector: Challenges and Policy Options.

