Il grano è molto più di una coltura: è una garanzia di stabilità sociale.
Da millenni accompagna l’umanità come simbolo di nutrimento, pace e prosperità. Ma oggi, dietro la sua apparente abbondanza, si nasconde una realtà complessa: produrre grano non basta per garantire cibo a tutti.
La sicurezza alimentare non dipende solo da quanto grano viene coltivato, ma anche da chi può permetterselo, dove arriva e come viene distribuito.
Che cosa significa “sicurezza alimentare”
La FAO definisce la sicurezza alimentare come la condizione in cui tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente per condurre una vita sana e attiva.
Questa definizione racchiude quattro pilastri fondamentali:
- Disponibilità – la quantità di cibo prodotta o importata;
- Accesso – la possibilità economica e fisica di ottenerlo;
- Utilizzo – la qualità nutrizionale e la sicurezza del cibo;
- Stabilità – la capacità del sistema di reggere a crisi o shock.
Nel caso del grano, il primo pilastro — la disponibilità — è solo il punto di partenza. Gli altri tre dipendono da fattori geopolitici, economici e climatici che oggi stanno ridefinendo il concetto stesso di sicurezza alimentare globale.
Produzione globale: sufficiente ma mal distribuita
Oggi il mondo produce abbastanza grano per nutrire l’intera popolazione globale: oltre 780 milioni di tonnellate l’anno (FAO, 2024).
Tuttavia, la produzione è concentrata in poche regioni: Russia, Unione Europea, Cina, India e Stati Uniti da sole rappresentano più del 60% del totale mondiale.
Questa concentrazione geografica rende il sistema vulnerabile: un conflitto, una siccità o un blocco commerciale in una di queste aree può influenzare i prezzi del pane a migliaia di chilometri di distanza.
L’esempio più evidente è la guerra in Ucraina, che ha ridotto le esportazioni dal Mar Nero e fatto aumentare del 40% i prezzi globali dei cereali nel 2022, secondo il World Food Programme (WFP).
Il nodo dell’accesso: fame tra abbondanza e disuguaglianze
Oggi oltre 733 milioni di persone soffrono la fame cronica, non perché manchi il cibo, ma perché non possono permetterselo (FAO, SOFI Report, 2024).
Le cause sono molteplici: povertà, conflitti, speculazioni sui prezzi e disastri climatici.
Il prezzo del grano è una leva potente.
Quando cresce — come accaduto nel 2008 e nel 2022 — i Paesi importatori netti, soprattutto in Africa e Medio Oriente, vedono aumentare i costi della farina e del pane.
Per famiglie che spendono fino al 50% del proprio reddito in alimenti di base, anche un piccolo rincaro può significare insicurezza alimentare immediata.
Inoltre, nei Paesi industrializzati la questione dell’accesso assume un volto diverso: non è la fame, ma la povertà alimentare, cioè l’incapacità di acquistare cibo sano e di qualità, a diventare un problema crescente.
Crisi multiple: clima, conflitti e logistica
Le crisi contemporanee — climatica, geopolitica, energetica e idrica — si intrecciano e amplificano i rischi per la sicurezza alimentare.
Eventi estremi come siccità, alluvioni o ondate di calore riducono le rese del grano in aree cruciali come il Nord Africa e l’Asia meridionale.
Nel frattempo, il costo dei trasporti e dell’energia incide sulla distribuzione: la chiusura temporanea di rotte come Suez o Bab al-Mandab può far salire il prezzo dei cereali anche del 20%.
Secondo l’IFPRI (International Food Policy Research Institute), oltre 40 Paesi in via di sviluppo dipendono per più del 50% dalle importazioni di grano, spesso proveniente da regioni politicamente instabili.
Grano, politiche e diritti
La sicurezza alimentare è una questione politica prima ancora che produttiva.
Le politiche agricole e commerciali influenzano i flussi globali di cereali, così come gli accordi di libero scambio e le restrizioni all’export.
La nuova Politica Agricola Comune europea (PAC), ad esempio, punta a coniugare autosufficienza e sostenibilità, ma anche a evitare squilibri interni fra Paesi produttori e importatori.
A livello internazionale, programmi come il Food Security Cluster FAO–WFP e il Hand-in-Hand Initiative cercano di coordinare aiuti, conoscenze e investimenti per rafforzare la resilienza dei Paesi più vulnerabili.
Ma la sfida resta enorme: il diritto al cibo — riconosciuto dalle Nazioni Unite nel 1948 — è ancora lontano dall’essere universale.
Soluzioni: rendere il sistema più equo e resiliente
Garantire la sicurezza alimentare legata al grano significa agire su più fronti:
- Diversificare le origini del grano
→ Ridurre la dipendenza da pochi grandi esportatori e rafforzare la produzione locale e regionale. - Stabilizzare i mercati
→ Prevenire speculazioni e volatilità con strumenti di riserva alimentare e contratti trasparenti. - Investire nella resilienza climatica
→ Varietà di grano più resistenti, pratiche sostenibili e gestione efficiente delle risorse idriche. - Sostenere le piccole aziende agricole
→ Accesso al credito, alla formazione e ai mercati, con attenzione specifica alle donne rurali. - Promuovere una governance alimentare globale
→ Coordinare dati, politiche e flussi di aiuti, perché la sicurezza alimentare è un bene comune planetario.
Un futuro da coltivare insieme
Il grano, simbolo universale di vita, è anche un indicatore del nostro equilibrio con la Terra.
La sua sicurezza — come alimento e come sistema — dipende dalla cooperazione tra Paesi, scienza e società civile.
EcoWheataly contribuisce a questa visione analizzando dati, rese e impatti ambientali per costruire politiche più giuste e resilienti.
Garantire pane a tutti non è solo una questione economica o agricola.
È una scelta di civiltà.
Fonti:
- FAO (2024). The State of Food Security and Nutrition in the World (SOFI Report).
- World Food Programme (WFP) (2023). Global Report on Food Crises.
- IFPRI (2024). Food Security Portal and Wheat Dependency Index.
- FAO & WFP (2023). Hand-in-Hand Initiative: Building Resilient Food Systems.
- European Commission (2024). The Common Agricultural Policy and Global Food Security.
- United Nations (2023). Universal Declaration on the Right to Food.

