Dal campo alla tavola: filiere corte del grano e farine locali

Il grano non è soltanto la materia prima del pane, della pasta o della pizza: è anche un indicatore di come funziona il nostro sistema alimentare. Negli ultimi decenni la filiera del grano si è fortemente globalizzata: chicchi coltivati in Canada o in Ucraina arrivano nei mulini italiani, farine prodotte in Europa finiscono in prodotti da forno in Asia, e i mercati internazionali regolano prezzi e disponibilità.

Accanto a questo modello globale, negli ultimi anni è cresciuto l’interesse verso le filiere corte e le farine locali, che accorciano la distanza tra chi produce e chi consuma. Una scelta che non è solo romantica, ma che ha basi scientifiche in termini di sostenibilità, qualità e resilienza economica.

Perché le filiere corte contano

Uno dei principali vantaggi delle filiere corte è la riduzione dell’impronta ambientale. Secondo studi di Life Cycle Assessment (LCA), il trasporto e la trasformazione incidono in modo significativo sull’impronta di carbonio del pane e della pasta. Limitare i chilometri percorsi dal grano significa abbassare le emissioni di CO₂ e contenere i costi energetici (Arzoumanidis et al., 2019).

Ma c’è anche un altro aspetto: le filiere corte consentono di valorizzare la diversità varietale locale, comprese le cosiddette varietà “antiche”. Questi grani, spesso meno produttivi, sono però più adattati ai contesti pedoclimatici specifici e richiedono minori input esterni, contribuendo alla conservazione della biodiversità agricola (De Vita et al., 2018).

Qualità nutrizionale e farine locali

La scienza mostra che le farine ottenute da grani locali non sono necessariamente “più salutari” in senso assoluto rispetto a quelle industriali, ma possono avere caratteristiche specifiche in termini di contenuto di fibre, polifenoli e micronutrienti. Alcuni studi comparativi evidenziano che le varietà di frumento duro tradizionali italiane hanno una maggiore concentrazione di composti fenolici rispetto a cultivar moderne (Shewry et al., 2013).

La macinazione artigianale a pietra, diffusa nelle filiere corte, produce farine meno raffinate, con una maggiore quantità di fibra e germe di grano. Questo ha effetti positivi sul contenuto di antiossidanti e sulla digeribilità, sebbene i prodotti ottenuti abbiano tempi di conservazione più brevi.

Un modello economico resiliente

Dal punto di vista socio-economico, le filiere corte creano valore aggiunto per i produttori locali. Vendere grano e farina senza passare attraverso grandi intermediari significa garantire un prezzo più equo agli agricoltori e, allo stesso tempo, un prodotto più trasparente per i consumatori. In Italia, ad esempio, esperienze come i “contratti di filiera” o i “patti di comunità” per il pane hanno dimostrato che l’organizzazione di reti territoriali può rafforzare sia la redditività agricola sia la coesione sociale (ISMEA, 2020).

Non solo nostalgia: resilienza alimentare

La pandemia da COVID-19 e le recenti tensioni geopolitiche hanno mostrato la fragilità delle catene globali di approvvigionamento del grano. Le filiere corte non possono sostituire il commercio internazionale, ma possono aumentare la resilienza del sistema, riducendo la dipendenza da mercati lontani e instabili.

In questo senso, farine locali e filiere corte non sono una regressione al passato, ma un tassello della transizione verso sistemi alimentari più sostenibili, diversificati e sicuri.

Fonti:

  • Arzoumanidis, I., et al. (2019). Evaluation of the environmental impacts of bread production: A Life Cycle Assessment study. Journal of Cleaner Production, 239, 118053.
  • De Vita, P., et al. (2018). Breeding progress and environmental adaptation of durum wheat varieties released in Italy between 1900 and 2017. European Journal of Agronomy, 101, 146–157.
  • Shewry, P.R. (2015). The contribution of wheat to human diet and health
  • ISMEA – Scheda settore cereali (dati e filiera, ultimo aggiornamento disponibile)