Chi controlla i semi di grano? Il ruolo delle multinazionali

Il seme è il punto di partenza di ogni raccolto, e controllarne la disponibilità significa avere un potere enorme sulla produzione agricola mondiale. Negli ultimi trent’anni il settore sementiero ha conosciuto un processo di concentrazione senza precedenti, che ha ridotto drasticamente il numero di attori indipendenti.

Dal seme contadino al seme brevettato

Per secoli i contadini hanno selezionato, conservato e scambiato i semi, contribuendo a creare la grande diversità genetica del grano che oggi conosciamo. Con la diffusione della rivoluzione verde e della proprietà intellettuale sulle sementi, il seme è progressivamente passato da bene comune a merce regolata da brevetti e diritti esclusivi.

Secondo uno studio pubblicato su Agriculture and Human Values (Howard, 2015), negli anni ’80 oltre 7.000 aziende sementiere erano attive a livello globale. Oggi, più del 60% del mercato mondiale delle sementi commerciali è nelle mani di sole quattro multinazionali: Bayer-Monsanto, Corteva Agriscience (Dow-Dupont), ChemChina-Syngenta, BASF.

Grano: un settore “speciale” ma sempre più industrializzato

Il grano non è una coltura OGM come mais o soia, ma questo non lo rende immune dalla concentrazione. I grandi gruppi controllano sempre più il mercato attraverso:

  • ibridi di frumento (specialmente nel tenero, per ridurre la possibilità di riutilizzo da parte degli agricoltori),
  • diritti di privativa varietale (UPOV), che limitano lo scambio libero delle sementi,
  • fusioni e acquisizioni di aziende sementiere locali.

Uno studio del Journal of Agrarian Change (Bonneuil & Thomas, 2009) mostra come le strategie delle multinazionali abbiano spinto verso varietà ad alta resa, uniformi e brevettate, a scapito della diversità locale.

Le conseguenze della concentrazione

Il controllo delle sementi ha effetti che vanno oltre l’agricoltura:

  • Erosione della biodiversità: varietà locali di grano rischiano di scomparire perché non coperte da investimenti commerciali.
  • Dipendenza economica: gli agricoltori devono acquistare semi ogni anno a prezzi determinati dalle multinazionali.
  • Omologazione del gusto e delle colture: filiere più uniformi, meno adattate ai contesti locali.

Alternative possibili

Accanto alle grandi imprese, si stanno rafforzando movimenti e reti per recuperare il diritto alle sementi:

  • Banche del germoplasma pubbliche (es. ICARDA, che custodisce la più grande collezione mondiale di grani del Mediterraneo e del Medio Oriente).
  • Programmi di plant breeding partecipativo, dove agricoltori e ricercatori selezionano insieme nuove varietà (Ceccarelli et al., 2012).
  • Reti di semi contadini e iniziative come la campagna europea “Save Our Seeds”.

La sfida è mantenere un equilibrio tra ricerca scientifica, necessità di nuove varietà resilienti e tutela dei diritti degli agricoltori.

Fonti:

  • Howard, P.H. (2015). Intellectual property and consolidation in the seed industry. Agriculture and Human Values, 32(3), 1–13.
  • Bonneuil, C., & Thomas, F. (2009). Genetic diversity in agriculture: a challenge for seed companies and public authorities. Journal of Agrarian Change, 9(4), 476–490.
  • Ceccarelli, S., et al. (2012). Plant breeding with farmers: a technical manual. ICARDA.
  • ETC Group (2019). Who Will Control the Green Economy?
  • FAO (2021). The State of the World’s Plant Genetic Resources for Food and Agriculture
  • Howard, Visualizing Consolidation in the Global Seed Industry (2009).