Quando portiamo a casa una pagnotta di pane, difficilmente pensiamo al suo impatto ambientale. Eppure, dietro ogni chilo di grano trasformato in farina e poi in pane, si nasconde un’impronta di carbonio ben definita. Comprendere il peso climatico di ciò che mangiamo è sempre più urgente in un mondo che cerca soluzioni alla crisi climatica.
Il ciclo di vita del grano: dall’aratura al forno
L’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA) è uno strumento potente per quantificare le emissioni di gas serra associate a ogni fase della produzione agricola. Per quanto riguarda il grano, si parte dalla coltivazione in campo, si passa per la raccolta, il trasporto, la trasformazione in farina e infine la panificazione. Ognuno di questi passaggi ha un’impronta carbonica, che cumulativamente contribuisce all’impatto ambientale di un singolo chilo di pane.
Secondo una sintesi di studi recenti condotti in Europa, le emissioni associate alla produzione di 1 kg di grano tenero possono variare tra 250 e 400 grammi di CO₂ equivalente. Questo valore dipende molto dal tipo di agricoltura praticata, dalla fertilizzazione, dall’uso di combustibili fossili nei macchinari agricoli e dall’irrigazione.
Se si considera poi l’intera filiera fino alla pagnotta, un chilo di pane può arrivare a generare tra 0,8 e 1,2 kg di CO₂ equivalente, soprattutto a causa dei consumi energetici nei mulini e nei forni, e del trasporto nei centri urbani.
Cosa incide di più?
Le voci più pesanti nella LCA del grano sono:
- Fertilizzanti azotati: la loro produzione è energivora, e il loro uso in campo genera emissioni di protossido di azoto (N₂O), un gas serra molto più potente della CO₂.
- Lavorazioni del suolo: l’aratura profonda rilascia carbonio immagazzinato nel suolo e consuma gasolio.
- Irrigazione (nei contesti dove è necessaria): spesso richiede energia elettrica o combustibili per il pompaggio dell’acqua.
- Trasformazione e cottura: i mulini e i forni industriali possono avere un’impronta elevata se non alimentati da fonti rinnovabili.
Grano biologico o convenzionale?
Una domanda frequente è se il grano biologico inquini meno. La risposta è articolata. In generale, l’agricoltura biologica usa meno input industriali (come i fertilizzanti chimici), ma spesso ha rese più basse. Quindi, a parità di prodotto finale, può avere un’impronta simile o addirittura superiore, se non si ottimizzano altri fattori.
Tuttavia, in un’ottica di sostenibilità a lungo termine, il biologico può contribuire a migliorare la salute del suolo e a ridurre l’inquinamento locale, anche se il suo bilancio climatico dipende molto dalla gestione agronomica.
Verso un pane a basse emissioni
Esistono già filiere virtuose che puntano a ridurre l’impatto climatico del pane, attraverso:
- Tecniche di agricoltura conservativa (minima lavorazione del suolo)
- Rotazioni colturali intelligenti
- Uso di fertilizzanti organici
- Energia rinnovabile nei mulini e nei forni
- Filiera corta, con riduzione dei trasporti
Anche le scelte del consumatore contano. Scegliere pane prodotto localmente, con grano coltivato in modo sostenibile, può abbassare significativamente l’impronta ecologica complessiva.

Fonti:
- EC Joint Research Centre (2023), Environmental Footprint Category Rules for Bread and Wheat. https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/efcr-bread
- FAO (2014), Agriculture, Forestry and Other Land Use Emissions by Sources and Removals by Sinks. https://www.fao.org/3/i6340e/i6340e.pdf
- IPCC AR6 Synthesis Report (2023), Summary for Policymakers. https://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/
- Poore & Nemecek (2018), Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers. Science, 360(6392), 987–992. https://doi.org/10.1126/science.aaq0216
- Ecoinvent database v3.9.1 – Data on LCA in wheat production.